Fino a non poco tempo fa, per cercare lavoro bisognava consultare gli annunci pubblicati dalle aziende e presentarsi al colloquio.
Oggi però, le cose sono cambiate.
In che modo?
Semplice: tutti possono essere potenziali candidati, anche quelli che non sono alla ricerca di un impiego, rendendo il reclutamento un processo molto più fluido e dinamico.
Ma questa è solo la punta dell’iceberg del recruitment 3.0.
Come funziona? E perché le aziende dovrebbero prenderlo in considerazione?
In questo articolo cercheremo di fare luce in merito alla questione.
Recruiting 3.0: com’è cambiato il modo di cercare lavoro negli ultimi anni?
Partiamo dalle basi: che cos’è il recruiting 3.0?
Il recruiting 3.0 rappresenta l’inevitabile evoluzione delle assunzioni. Man mano che la tecnologia trasforma il settore del personale ed emergono nuovi principi, l’intero mercato dei talenti deve cambiare, e ogni reclutatore deve comprendere le nuove pratiche, i nuovi metodi e i nuovi trucchi per trovare e attirare i potenziali dipendenti.
Sì, tutto molto bello, ma come funziona?
Innanzitutto, si concentra sul miglioramento della qualità delle assunzioni, riducendo il tempo di assunzione e il rapporto costo/assunzione. I suoi obiettivi principali sono:
- una maggiore trasparenza;
- una migliore comunicazione;
- un maggiore coinvolgimento dei candidati.
In sintesi, questo approccio innovativo al recruiting consentirà a entrambe le parti di avere una comunicazione più fluida e naturale. Inoltre, i reclutatori entreranno in contatto con persone in cerca di lavoro e talenti passivi in qualsiasi fase della loro carriera.
Queste tattiche sono, infatti, un mix perfetto di strategie di employer branding e di inbound recruiting.
E cosa possono aspettarsi i selezionatori nel prossimo futuro?
Beh, diciamo che è (ancora) alquanto discutibile. Ma ecco uno scenario favorito e plausibile: con tutti i vantaggi che la tecnologia sta offrendo, saranno possibili – e molto utilizzate – ricerche (ancora più) personalizzate!
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Quali sono i principi di base del reclutamento 3.0?
Un tempo i datori di lavoro si affidavano molto alle bacheche di annunci di lavoro, e c’è stato un periodo in cui i reclutatori erano piuttosto passivi: in poche parole, non facevano il passo più lungo della gamba.
I loro compiti consistevano principalmente nel vagliare i curricula dei candidati e nel selezionare quelli che avrebbero dovuto passare al turno successivo.
Un po’ limitante, non trovi?
Ora, sappiamo che l’intero web (e il mondo reale) è pieno di opportunità per avvicinare un candidato e offrirgli un lavoro. Questo è il principio numero uno del reclutamento 3.0: chiunque può essere un potenziale assunto.
Il che, di conseguenza, significa che non tutti saranno disposti a partecipare al processo di assunzione. Ecco perché ci sono altre missioni fondamentali legate a questa pratica.
Quindi, come ovviare alla mancanza di personale qualificato?
Vediamo di approfondire meglio questo concetto.
Qual è il potenziale del recruitment 3.0? Ecco quattro buone ragioni per cui dovresti prenderlo in considerazione anche tu
1. Tutti sono potenziali candidati o ambasciatori del marchio, anche i tuoi clienti
Al centro della filosofia del recruitment 3.0 c’è la definizione di candidato.
In genere si definisce candidato chi si è candidato, appunto, a far parte di un processo di selezione volontariamente.
Ma in quale momento qualcuno si candida volontariamente? Quando vede il tuo annuncio? Quando si candida al tuo annuncio? Quando viene intervistato?
Ma poi, se non è un candidato finché non si offre volontario, che cos’è?
Si tratta di una persona normale, seduta a bere un caffè, a dirigere un team di lavoro, a parlare a una conferenza, a correre per strada, a guardare la TV o a bere una pinta della migliore birra del pub locale.
E perciò cosa trasforma una persona normale in un candidato?
Diciamo che ci sono diversi punti chiave, come ad esempio:
- il mancato riconoscimento del proprio contributo sul lavoro;
- il cattivo rapporto con il proprio manager;
- la mancanza di uno sviluppo di carriera;
- la mancanza di un lavoro stimolante;
- la scarsa retribuzione.
Questi sono tutti fattori che spingono una persona a cercare lavoro altrove. Fino a qualche anno fa, un’azienda aspettava il momento in cui qualcuno si presentasse come potenziale candidato e gli faceva una proposta attraente per convincerlo a lavorare per l’impresa.
Ma con il concetto di recruitment 3.0 le cose cambiano: ora, tutti sono potenziali candidati.
2. L’importanza della psicologia delle persone
Le persone sono naturalmente sociali. Amano parlare, coinvolgere, spettegolare e sono affamate di informazioni.
Quando si instaura una relazione, vogliono onestà, autenticità, integrità, trasparenza e comunicazione a due vie.
Un buon venditore sa tutto questo, e sa anche che, per vendere, è fondamentale costruire relazioni.
Quando si parla di employment branding, le persone vogliono relazioni con le persone, non con aziende burocratiche e senza volto.
La chiave è quindi permettere alle persone di avere una comunicazione trasparente, affidabile e bidirezionale con la tua azienda anche in fase di reclutamento.
3. Capire di non avere il controllo di ciò che dicono gli altri
Tutti parlano della tua azienda, che ai tuoi dirigenti piaccia o meno. Che si tratti dei prodotti, servizi o leader… e, sì, anche del luogo di lavoro.
Se si tratta di un’attività importante, potresti addirittura googlarlo e trovare un sacco di informazioni in rete.
Potresti vedere cosa dicono le persone su blog, siti web e feed di Twitter.
Come abbiamo detto poco fa, le persone amano parlare, con la differenza che oggi le notizie hanno molta più probabilità di diffondersi a macchia d’olio.
La domanda è: perché molte aziende non si adeguano a questa realtà?
Molte imprese sono ‘educate’ in un modo specifico della vecchia scuola: è nel loro DNA limitarsi a diffondere un messaggio e lasciarlo in giro, senza impegnarsi in una conversazione.
Ma la realtà è che per molti si tratta di un enorme errore di calcolo: il mancato coinvolgimento delle comunità, infatti, sta danneggiando molte aziende.
Diventa dunque necessario un cambio di rotta.
Ma come fare?
Partendo dal presupposto che le aziende non possono più controllare quello che viene detto. Oggi c’è un cambiamento nell’equilibrio del potere. La tecnologia sta spostando il potere dagli editori, dai media, dall’élite, dalle aziende a noi, le persone. I reclutatori devono accettare questo fenomeno.
4. Il reclutamento è noioso
Bisogna dirlo. Il reclutamento è noioso.
Quando una persona è soddisfatta del proprio lavoro e non ha intenzione di cercarne uno, quanti siti di reclutamento visiterà?
Esatto, nessuno.
Il motivo è semplice: non ne hanno la necessità.
Ma se ci fosse un modo per rendere il reclutamento un processo proficuo sia per le aziende che per gli utenti?
Questo è quello che abbiamo fatto noi di CVing, dando vita all’Open Referral Program, un programma di referral che fa guadagnare chi suggerisce i giusti candidati alle aziende.
Vuoi sapere come funziona? Scopri di più in questa guida!
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Conclusioni
In questo articolo abbiamo parlato delle potenzialità del recruiting 3.0, cercando di capire in che modo il processo di reclutamento potrebbe diventare coinvolgente anche per le persone non interessate a trovare lavoro e proficuo per le imprese alla ricerca di personale.