In tanti affermano che il Nord sia la locomotiva del nostro Paese: ma a che prezzo?
Pagare un salasso per un piccolo appartamento in centro (senza contare l’abbonamento dell’autobus o, peggio, la benzina!) diventa insostenibile non soltanto per le tue tasche, ma anche per il tuo benessere mentale.
Certo che lavorare con vista mare (o montagna) ha tutto un altro sapore, giusto?
Saresti addirittura più produttivo/a immerso nel silenzio e nella pace, ma sai bene che nella ‘city’ affollata e rumorosa, questo non è possibile.
Ti tocca districarti tra il traffico, il rumore dei clacson, la folla che cammina per strada in uno scenario che fa tanto pensare a un film ambientato nella Grande Mela.
Ecco perché molti lavoratori, stanchi della frenesia, decidono di trasferirsi al Sud, dando vita al cosiddetto fenomeno del South working.
Lo sanno bene i nostri clienti che grazie alla nostra platform experience di CVing sono riusciti a trovare il lavoro da remoto che desideravano e fare del loro salotto il proprio ufficio.
Se vuoi sapere come hanno fatto, questo articolo fa al caso tuo.
Il fenomeno del South working: perché sempre più italiani scelgono di lavorare al Nord restando al Sud
South working: cos’è e perché è diventato importante con la pandemia
Secondo la definizione del dizionario Treccani, il South working riguarda il “lavoro da remoto per aziende fisicamente collocate nell’Italia del Nord, svolto da casa o in regime di smart working da persone che abitano nell’Italia del Sud”.
Diventato, con la pandemia, un vero e proprio fenomeno di immigrazione di ritorno, sempre più italiani hanno deciso di continuare a lavorare per le aziende del Nord Italia dalle loro case d’origine nel mezzogiorno, abbandonando i loro piccoli appartamenti per tornare nelle vecchie e spaziose case di famiglia.
Se prima della pandemia lo smart working era una modalità che interessava soltanto il 5% dei lavoratori italiani, a partire dal 2020 è diventato una realtà comune per più di 2 milioni di persone.
Ma se da una parte lavorare da casa presenta innegabili vantaggi, diciamo anche che non è tutto oro quel che luccica.
Partiamo con ordine.
Il lavoro agile permette di:
- avere orari più flessibili;
- sostenere meno costi (basti pensare all’affitto da pagare per un monolocale in centro, il trasporto per i pendolari, ecc.);
- essere più motivati e produttivi.
Ma è veramente così per tutti?
Essendo una nuova modalità per molte aziende, è opportuno imparare a fissare dei limiti perché, in caso contrario, i rischi di esaurimento e sindrome di burnout sarebbero dietro l’angolo.
Vediamo di seguito le maggiori preoccupazioni di alcuni studiosi che hanno analizzato il fenomeno dello smart working con il dilagare del virus.
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Smart working nel meridione: il problema del carico di lavoro e l’isolamento sociale
Studi recenti hanno dimostrato che i dipendenti in smart working tendono a lavorare più a lungo e più duramente.
In uno scenario pandemico, il lavoro agile non è più sensibile alle preferenze dei dipendenti. Al contrario, diventa obbligatorio, e i dipendenti non hanno altra scelta che lavorare a tempo pieno da casa. Ciò comporta un aumento del carico di lavoro con conseguente esaurimento e perdita di produttività. In alcuni casi, è plausibile supporre che venga chiesto loro di lavorare ore extra in assenza di pendolarismo.
L’implementazione del lavoro a distanza ha portato a una sovrapposizione dei ruoli lavorativi e familiari per un tempo esageratamente prolungato, generando malessere all’interno dell’ambiente domestico.
Diversi studi su precedenti episodi di quarantena hanno dimostrato che le reazioni di stress psicologico possono emergere dall’esperienza di isolamento fisico e sociale, spesso presentato come il più grande svantaggio del lavoro a distanza.
Questo avrebbe dunque effetti ancora più gravi nel caso del lavoro a distanza full time, poiché limiterebbe le opportunità di interazione sociale tra i dipendenti.
Studi precedenti hanno sottolineato che l’isolamento sociale influenza negativamente la salute mentale e fisica delle persone e agisce sulla qualità generale della vita. È dunque associato a:
- una minore soddisfazione di vita;
- fenomeni di depressione;
- livelli più bassi di benessere psicologico.
Come già accennato, lavorare da casa durante la pandemia è stato necessario per garantire la distanza fisica al fine di ridurre la diffusione di Covid-19. Tuttavia, questo ha intensificato la percezione di essere socialmente isolati.
D’altro canto, molti lavoratori sono riusciti a trovare il giusto equilibrio tra vita privata e vita lavorativa, si sentono più soddisfatti, più produttivi e non rinuncerebbero mai al lavoro agile.
Dunque, trarre vantaggio è possibile, ma è soprattutto compito delle aziende fare in modo che il lavoro da casa sia un’esperienza quanto più simile al lavoro in ufficio e che il carico di lavoro sia lo stesso.
Bentornati al Sud… con CVing trovare lavoro non è mai stato così semplice
La modalità di lavoro da remoto è una realtà che è stata anticipata dalla pandemia, e che potrebbe tramutarsi in quotidianità con l’avvento del metaverso.
Ma senza andare molto lontano, la nostra azienda ha trovato il modo perfetto per la ricerca del lavoro (anche a distanza!).
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Conclusioni
Con l’arrivo inaspettato della pandemia due anni fa, il lavoro da casa si è velocemente tramutato in un’esigenza volta a proteggere dal virus le persone con il distanziamento sociale.
Se questo ci ha allontanato gli uni dagli altri, ha senza dubbio permesso ad alcuni di cogliere l’occasione per tornare alle proprie residenze al Sud pur lavorando al Nord, con il cosiddetto fenomeno del South working.
Lavorare da remoto è certamente vantaggioso. Ma per far in modo che i dipendenti siano più produttivi (e più sereni!) occorre che le aziende non li sovraccarichino di lavoro per sopperire alla loro assenza fisica dall’ufficio.
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